Discorso della presidente provinciale ANPI Siena Silvia Folchi, 25 aprile 2024

Silvia Folchi mentre legge il discorso

Alla ricerca di una memoria condivisa, e quindi di un condiviso oblio, ormai da molti anni giornalisti, intellettuali e politici di vari schieramenti ci spiegano che l’antifascismo va superato, a meno di non volersi battere contro un nemico immaginario, dato che il fascismo è stato vinto nel 1945. È una litania che si spinge fino a mettere in discussione lo stesso fondamento antifascista della Costituzione, poiché una sola fazione di una guerra civile non può rappresentare l’unità nazionale. È una litania che vuole aprire la strada a una versione denigratoria della Resistenza, e che cerca di insinuare nel senso comune un rovesciamento delle parti: all’antifascismo corrisponderebbe oggi la conservazione dello status quo, al fascismo la ribellione contro di esso.

Ma se è vero che la storia non si ripete mai nello stesso modo, e che oggi non è presente in Italia un fenomeno politico identico al fascismo di Mussolini, è altrettanto vero che l’antifascismo contemporaneo è un fenomeno diverso da quello che contrastò e vinse il regime. L’antifascismo è un progetto plurale che oggi si proietta ben al di là della contingenza da cui ha avuto origine. È un progetto politico basato sulla memoria, certamente, e sulla conoscenza della storia, ma che si sostanzia soprattutto nella partecipazione al discorso pubblico. L’antifascismo è radicato nel passato, ma è un fenomeno del tempo presente. Di più: è un processo in fase di sviluppo.

Il 25 aprile è più vitale che mai: oggi a Milano, in tutte le città, in tutti i comuni d’Italia si tengono migliaia di iniziative, di feste, di prese di parola. L’Anpi continua ad aumentare i suoi iscritti, e molti sono i giovani che chiedono di iscriversi all’Anpi, e di testimoniare anche in questo modo un’appartenenza che evidentemente va ben al di là di una semplice volontà di conservazione.

Ha scritto il costituzionalista Andrea Manzella: «Quando gli italiani scelsero un giorno diverso da tutti gli altri europei per ricordare la fine del conflitto compirono un atto di umiltà e di dignità insieme. Di umiltà perché riconobbero che non potevano condividere memorie con gli altri Paesi, dal momento che in tutto il mondo “fascismo” era parola italiana. Di dignità, perché vollero indicare che, nella culla del fascismo e nella terra del suo più largo consenso, c’era stata una specifica via nazionale di contrasto e di alternativa. Data nostra anche perché la Resistenza italiana aveva avuto un suo carattere specifico. Per gli altri Paesi di Occidente era stato un fatto politico-militare di liberazione, per tornare a una loro consolidata democrazia. Per noi, che avevamo avuto un consenso di massa al fascismo, fu diverso».

La casualità della storia ha poi stabilito che in Europa si festeggiasse un altro 25 aprile: quella rivoluzione dei garofani che 50 anni fa in Portogallo mise fine al regime fascista di Salazar e del suo successore, e lo facesse in maniera non cruenta, rinunciando all’uso delle armi. I garofani infilati nelle canne dei fucili è un simbolo potente.

L’antifascismo, dicevo, è un processo plurale, in fase di sviluppo e con gli occhi bene aperti, che smaschera e respinge i continui e sempre più energici attacchi alla libertà di manifestare e alla libertà di opinione, che richiamano alla mente le tristi leggi fascistissime del 1925. Lo sa fare perché conosce la storia.

Lo dico con i versi che Giuseppe Ungaretti dedicò ai morti della Resistenza:

Qui
Vivono per sempre
Gli occhi che furono chiusi alla luce
Perché tutti
Li avessero aperti
Per sempre
Alla luce

Tenendo gli occhi aperti alla luce è facile capire che non ci può essere conciliazione con una revisione costituzionale in senso presidenzialista. Questo disegno era già vagheggiato da quel Giorgio Almirante che nel 1944 firmò il bando che in Toscana condannava a morte mediante fucilazione alla schiena i renitenti alla leva. Da segretario del Movimento sociale italiano, Almirante 40 anni fa sosteneva la necessità di liberare il governo dalla servitù dei partiti: “Per assicurare stabilità politica occorre che il capo del governo non sia tratto fuori dal forcipe della partitocrazia ma venga nominato direttamente dal presidente della Repubblica. E perché quest’ultimo possa farlo occorre che a sua volta non sia servo della partitocrazia ma venga eletto direttamente dal popolo. Ecco i lineamenti di una Repubblica presidenziale moderna”, sosteneva Almirante.

Noi invece siamo per la repubblica parlamentare, e non per il culto del capo.

Siamo per un parlamento che però non si lasci umiliare dal governo, ma che sia garante, in quanto eletto, della democrazia rappresentativa.

Siamo per mettere al centro il bene pubblico, e non gli interessi privati.

Siamo per l’Italia una e indivisibile, e non per la disuguaglianza eletta a sistema in nome delle autonomie regionali.

Siamo per un Paese che sappia accogliere i nuovi cittadini ovunque siano nati.

Siamo per uno stato che non rimetta ogni volta in discussione la libertà delle donne di decidere sul proprio corpo, e non per uno stato etico che teorizza e dispone il fine ultimo a cui devono tendere i singoli individui.

Siamo per una repubblica che sappia assumersi la responsabilità sociale dei morti sul lavoro, e che sappia garantire la partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economia e sociale del Paese.

Siamo per un Paese che sappia affrontare in modo maturo la sfida della risoluzione dei conflitti, senza subire l’imposizione dell’aumento delle spese militari, e più in generale di una politica atlantista che azzera le complessità e che oggi si vorrebbe uno dei pochi reali collanti dell’Unione Europea.

Noi siamo per il ripudio della guerra, in osservanza al dettato costituzionale, e siamo ostinatamente contrari a pensare alla guerra come a una ineluttabile necessità o, peggio, una sempre più accettabile normalità. Non è così, e ci addolora e ci preoccupa che dal parlamento e dai partiti si levino poche e troppo timide voci contrarie a questa follia irresponsabile.

I gruppi fascisti e nazisti che esistono oggi in Italia, in Germania, in Ungheria, in Francia, in Spagna non sono fenomeni residuali, ma contano su una partecipazione numericamente molto importante. Esistono in Europa reti molto attive che lavorano costantemente sul disorientamento politico, sociale e culturale che attraversa i nostri tempi, e che portano avanti un’ideologia fatta di simboli, di un credo forte, di immagini che tendono a incantare le masse, come avvenne per gli autoritarismi del ‘900, e che attraverso le elezioni hanno accesso alla rappresentanza nelle forme democratiche che le società si sono date dal dopoguerra e che loro tendono a sovvertire. Tutto questo ci preoccupa, alla vigilia delle elezioni europee, poiché questi gruppi sono già presenti, più o meno mascherati, nei governi di molti Paesi, e ambiscono a trovare una rappresentanza importante nella stessa Unione Europea.

Oggi le università sono in fermento, non solo in Italia, e un potere sempre più intollerante alla contestazione chiude gli spazi politici, criminalizza e manganella gli studenti, querela per diffamazione chi critica o esprime apertamente le proprie opinioni politiche. Ma gli studenti che manifestano pacificamente non fanno che esercitare i propri diritti costituzionali, rendono effettiva la partecipazione democratica, e restituiscono all’università il suo ruolo di costruzione del pensiero critico.

Dobbiamo essere grati agli studenti che manifestano, perché spezzano il mutismo drammatico di una società che assiste al massacro e alla sopraffazione del popolo palestinese senza chiedere il rispetto del diritto internazionale.

Come ha ricordato questa mattina il presidente Sergio Mattarella, celebrando il 25 aprile a Civitella della Chiana, «a differenza dei loro nemici, imbevuti del culto macabro della morte e della guerra, i patrioti della Resistenza fecero uso delle armi perché un giorno queste tacessero e il mondo fosse finalmente contrassegnato dalla pace, dalla libertà, dalla giustizia». Anche oggi confidiamo in questa speranza, e chiediamo insistentemente: cessate il fuoco ovunque!

Dobbiamo continuare a tenere gli occhi aperti alla luce, il 25 aprile e tutti i giorni. Dobbiamo tornare a impadronirci della politica come luogo di cittadinanza, di dialettica democratica e di assunzione di responsabilità, e dobbiamo tornare a impadronirci dello spirito rivoluzionario della Costituzione.

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