“Quattro giorni di incontri, dibattiti, spettacoli teatrali, concerti, possibilità di mangiare agli stand gastronomici, libreria… una grande festa della democrazia e dell’antifascismo!
🗺️DOVE? Quest’anno il Comune ospitante sarà quello di Sinalunga; la frazione, quella di Bettolle, presso il Parco Villa Olda; in caso di pioggia, le iniziative si svolgeranno presso la Sala polivalente, via Libero Grassi 4.
❓COSA? Gli articoli su cui si concentrerà l’edizione di quest’anno sono i seguenti:
Articolo 3: articolo chiave della Carta, quello che prevede una Repubblica fondata sull’uguaglianza, non formale ma sostanziale, con azioni concrete per realizzarla, al di là di discriminazioni dirette e indirette, derivanti da sesso, razza, religione, opinioni politiche, condizioni personali;
Articolo 11: che pone la Repubblica in un’ottica di convivenza pacifica con le altre nazioni e popoli, all’interno di un ordinamento condiviso di diritto internazionale, in cui bandire la guerra come strumento di risoluzione delle controversie internazionali.
A questi articoli si aggiunge l’altro filone da sempre costante nelle edizioni della festa, ovvero eventi dedicati all’antifascismo militante, alla promozione e valorizzazione di soggetti e realtà sociali associate che si impegnano per i valori della resistenza confluiti nella nostra Carta, al ricordo e ricerca su figure rilevanti della Resistenza”
Mi chiamo Mahsa, Mahsa Amini, ho 22 anni. Sono una studentessa, amo l’arte e la musica. Nel settembre 2022 ero in visita a Tehran. Stavo salendo le scale della metropolitana insieme al mio fratello quando gli agenti della polizia morale mi hanno fermata e hanno iniziato a trascinarmi nel loro furgone. Mio fratello gridava: vi prego , lasciatela, non ha fatto niente! Non siamo di qua e qua non abbiamo nessuno! Mi hanno sbattuta sul bordo del marciapiede e mi hanno portata via. Poche ore dopo ero in coma in terapia intensiva e dopo 3 giorni ero morta. L’immagine del mio giovane volto innocente in fin di vita, pubblicata da una coraggiosa giornalista, ha scatenato la rabbia di milioni di concittadini che erano diventati le mie sorelle e i miei fratelli. Mio fratello aveva detto siamo soli ma si sbagliava. Il mio nome oramai è conosciuto in tutto il mondo ed è diventato il sinonimo di lotta e di resistenza.
Mi chiamo Hadis, Hadis Najafi, ho 23 anni. Lavoravo in un ristorante nella città di Karaj a pochi chilometri da Tehran. La notizia della morte di Mahsa mi aveva colpita nel profondo del cuore e non potevo più tacere. Quel giorno, come centinaia di migliaia di ragazzi, sono scesa per strada. Sapevo che era pericoloso ma dovevo farlo. Prima di buttarmi nella mischia ho inviato un messaggio vocale ai miei amici che diceva: “ vorrei che dopo qualche anno, quando finalmente saremo liberi, potessimo riascoltare questo messaggio. Quel giorno sarò molto felice e orgogliosa di ciò che sto facendo oggi e potrò dire SI! IO C’ERO ! “ Poche ore dopo mi hanno uccisa sparandomi 7 volte. 7 colpi per il mio esile corpo di appena 45 chili!!
Mi chiamo Mohammad Hosseini. Ho 39 anni. Faccio l’operaio da quando ero un ragazzino perché ho perso molto presto i genitori e non avevo uno stato che mi proteggesse. Sono diventato anche un campione di arti marziali. Il 3 novembre del 2022 ho partecipato alla cerimonia del quarantesimo giorno dalla morte di Hadis. Mi hanno arrestato, condannato a Morte e mi hanno impiccato nell’alba dell’8 dicembre! Avranno pensato che ero solo e senza famiglia ma al mio funerale hanno pianto milioni di persone. la mia tomba è sempre colma di fiori. Non ero e non sono solo.
Mi chiamo Mehdi Karami, ho 20 anni. Sono figlio unico nato dai genitori semplici, umili e poveri ma pieni d’amore. Mi hanno cresciuto con molti sacrifici e io sono diventato un campione di arti marziali. Ho riempito la loro piccola e umile dimora con le mie medaglie. Erano tanto orgogliosi. Il 3 novembre c’ero anch’io, per Hadis e per protestare. Protestare a mani vuote. Fui arrestato e pochi giorni dopo arrivò la condanna: avevano deciso di togliermi la vita. Chiamai mio padre, piangevo e avevo un unico pensiero per la testa: – “papà mi hanno condannato a morte…ma ti prego non dirlo alla mamma” dissi! Sono passati 4 mesi da quel terribile giorno in cui la mia condanna è stata eseguita e ai miei genitori resta soltanto una foto incorniciata in mezzo a un muro pieno di medaglie….ma loro non smetteranno mai di lottare per la giustizia.
Il mio nome è Gohar Eshghi. Hanno detto che sono stata inserita nella lista delle prime 100 donne influenti al mondo. Non so cosa significhi, so solo che mio figlio non c’è più. Sattar era un operaio e un blogger. Nel 2012 fu arrestato e dopo 4 giorni di torture venne ucciso. Quando ho chiesto della sua morte, mi hanno detto: “Zitta, non ti riguarda!” Da quel giorno non ho mai smesso di cercare giustizia per mio figlio. Con altre madri in lutto, lottiamo per sapere la verità sulla morte dei nostri figli, colpevoli di aver voluto una vita normale. Ho sempre creduto in Dio e negli uomini, ma non credo in questi uomini di Dio. Ho 80 anni e ho portato il velo per tutta la mia vita. Quest’anno però tolgo il mio velo perché non voglio che altri giovani vengano ammazzati in nome di questa religione e chiedo a tutti di non essere codardi e di uscire per strada!
Sono Nilofar Aghaei, sono un’ostetrica. Quest’anno ho compiuto 31 anni, ma c’era qualcosa di diverso. Pochi mesi prima del mio compleanno ho perso l’occhio sinistro durante le proteste contro il regime islamico! Forse avete sentito nei notiziari che i soldati del regime dell’Iran sparano agli occhi dei manifestanti. Io ero una di loro. mi hanno sparato quando hanno visto la resistenza e l’amore per la vita nei miei occhi! pensavano che sparandomi direttamente negli occhi avrei perso! Volevano esattamente questo; volevano che non potessi vedere la crudeltà e i crimini di questo dittatore. Ma la storia non è andata come credevano! Sono 6 mesi che amo la vita più di prima… Penso a quanto sia strano e bello per me che in mezzo a tante emozioni diverse che vivo ogni giorno, non ci sia posto per il rimpianto e per il pentimento.
Mi chiamo Sarina Esmailzade, ho 16 anni, mi hanno uccisa dentro la mia scuola a colpi di manganello, perché mi sono rifiutata di cantare un inno dedicato all’assassino Ali Khamenei. Mi chiamo Kian Pirfalak e ho 9 anni. Mi hanno ucciso co n un proiettile mentre ero nell’auto con la mia famiglia, perché il mio padre aveva suonato il clacson in segno di protesta. Mi chiamo Siavash e avevo 16 anni. Mi chiamo Nika Shahkarami e avevo 17 anni. Mi chiamo Zakaria, Mohammad. Amin, Aram, Arnika, Pedram, Setare, Ehsan ….. Potrei andare avanti per ore!
Sono questi i nostri partigiani. Giovani, belli e coraggiosi. Sono quelli che hanno detto no alla dittatura e al fascismo islamico e Hanno deciso di lottare e sacrificarsi. Ma per cosa? Forse il più bel modo di spiegarlo è quello di usare una canzone. La canzone “ Baraye” che in persiano significa “per”. Una canzone di Shervin Hajipuor che ha raccolto alcuni dei milioni di hashtag in cui ogni uno diceva per che cosa si deve lottare:
Per poter ballare per strada Per la paura nel momento di un bacio Per mia sorella, la tua sorella, per le nostre sorelle Per cambiare le menti che sono marce Per la desolazione di essere squattrinato Per il desiderio di una vita normale Per il bambino che rovista nei rifiuti e per i suoi sogni Per questa economia di comando Per quest’aria così inquinata Per “Vali asr” e i suoi alberi secolari consumati Per il ghepardo “Pirooz” che rischia l’estinzione Per i cani innocenti, vietati e massacrati Per i pianti senza sosta Per la ridondante immagine di questo momento Per il volto che sorride Per gli studenti e il loro futuro Per questo paradiso forzato Per le menti geniali rinchiusi in galera Per i bambini afgani Per tutti questi mai ripetitivi Per tutti questi slogan vuoti Per il crollo delle case di paglia Per potersi sentire un po’ tranquilli Per il sole che sorge dopo lunghe notti Per tutti i tranquillanti che abbiamo preso e per le notti insonni Per uomo, terra, prosperità Per ogni ragazza che ha desiderato essere maschio Per DONNA, VITA, LIBERTÀ PER LIBERTÀ………..
A volte penso a come potrei sentirmi e cosa potrei fare se un giorno, tra 20, 40 o 60 anni, qualcuno volesse infangare la memoria di questi ragazzi, volesse dimenticare i loro nomi o non volesse più difendere e gridare i valori della loro resistenza! Se qualcuno dicesse che infondo, quel regime islamofascista ha fatto anche cose buone. No so! non so davvero! Spero solo di non vedere quel giorno.
Ci troviamo oggi sul Montemaggio come tutti gli anni da 79 anni, in un clima solenne ma che è quasi di festa, e non di lutto, perché fare memoria e riunirci nel nome dei partigiani non è un atto formale né solo un atto politico: è un fatto di umanità che ci rende più forti e più liberi. Il 28 marzo 1944 19 giovani vennero uccisi dai fascisti, qui alla Porcareccia. L’11 marzo 10 partigiani erano stati fucilati a Scalvaia. Il 13 marzo altri quattro erano stati fucilati alla caserma Lamarmora di Siena, condannati a morte perché avevano disertato l’esercito della Repubblica sociale per unirsi ai partigiani. Tutti loro sono morti per mano fascista, cioè italiana, non in quanto italiani ma in quanto oppositori di quel regime violento e sanguinario. E però non da oggi, ma fino dagli anni immediatamente successivi ai fatti che oggi celebriamo, un nucleo di quel pensiero reazionario ha lavorato per sovvertire e confondere questa verità, ed è qualcosa con cui ancora oggi ci troviamo a fare i conti. Oggi si fa strada, nella politica e nella società, un annullamento pericoloso del concetto di fascismo come apparato di violenza. C’è, oggi, chi pensa possibile intitolare una strada a quel Giorgio Almirante firmatario del bando che comminava la pena di morte mediante fucilazione alla schiena agli sbandati e agli appartenenti a bande partigiane. C’è chi, dal suo ruolo di alto funzionario di nomina governativa, scrive una lettera al consiglio di amministrazione spacciando per suo il discorso in cui Mussolini rivendicava la responsabilità politica del delitto Matteotti. A chi voleva parlare questo signore, cui peraltro il governo aveva affidato il controllo di banche dati sensibili come quelle di Inps, Inail e Istat? E ancora, è di questi giorni la proposta di eliminare il reato di tortura per non ‘demotivare’ il lavoro delle forze dell’ordine. Come se le forze dell’ordine della nostra Repubblica avessero bisogno di ricorrere alla tortura per svolgere i loro compiti. Di fronte a queste e a molte altre aggressioni alle norme di civiltà e di convivenza democratica, tocca a noi vigilare. A noi dell’Anpi, agli amministratori, a chi ha giurato sulla Costituzione, a chi pretende che la Costituzione sia applicata in ogni sua parte, compresa la dodicesima disposizione, che nega ogni possibilità al partito fascista di tornare non solo a governare, ma semplicemente ad esistere in Italia. Abbiamo chiesto la chiusura delle sedi delle organizzazioni fasciste, anche all’indomani dell’assalto alla Camera del lavoro a Roma; ci battiamo ogni giorno contro il reato di apologia, contro l’esibizione delle cupe simbologie fasciste, contro le sempre più frequenti aggressioni. Chiediamo risposte alla politica tutta, consapevoli che vigilare tocca a noi, che ogni anno qui rinnoviamo un patto che ci lega come comunità democratica.
In occasione dei cento anni dalla nascita di Vittorio Meoni, l’Istituto Storico della Resistenza Senese e dell’età Contemporanea ’Vittorio Meoni’ ha organizzato un’iniziativa dal titolo ‘Un Cittadino Illustre di Colle di Val d’Elsa, Vittorio Meoni a Cento Anni Dalla Nascita (1922-2022)’. L’appuntamento si è tenuto sabato 10 dicembre alle ore 10:00 alla Biblioteca Comunale di Colle Val d’elsa.
Il 12 dicembre invece, in una iniziativa tenutasi alle Stanze della Memoria, sono state ricordate le sue qualità di uomo politico e di storico della Resistenza.
La decretazione d’urgenza – che sovrasta l’attività legislativa del Parlamento – lascia intravedere una visione preoccupante della società e dei poteri dell’esecutivo.
Come noto, il 30 ottobre a Predappio circa duemila nostalgici fascisti hanno sfilato tra saluti romani, fez e indecenti cori inneggianti sia a Mussolini che al ventennio, commemorando insensatamente i 100 anni dalla marcia su Roma, infangando così la memoria della nostra Repubblica e dei martiri della Resistenza, prima ancora che infrangendo le leggi Scelba e Mancino. Nella stessa giornata, a Milano, avveniva una scena surreale in diretta televisiva: una banda di ultrà faceva sloggiare tutti i tifosi dalla curva Nord, minacciandoli, per ottenere un lutto forzato in onore del loro capo freddato a colpi di pistola; il tutto senza che nessuno muovesse un dito. Ieri siamo venuti invece a sapere che il Governo si è riunito per decretare d’urgenza su alcuni temi, sottraendoli alla discussione parlamentare: reintegrare anzitempo e senza danno i sanitari no vax, che non hanno rispettato le regole sanitarie; rinviare la riforma penale ed eludere il richiamo della Corte Costituzionale sull’ergastolo ostativo; creare a suon di decreto una nuova fattispecie di reato: “Invasione di terreni o edifici per raduni pericolosi per l’ordine pubblico o l’incolumità pubblica o la salute pubblica”… Partendo dall’ultimo decreto, non possiamo che notare come esso sia permeato da una pericolosa e inquietante genericità dei termini: cosa si intende per ‘invasione’? Cosa può definirsi pericoloso’ per ordine e incolumità? Quanta discrezione questo nuovo reato metterà nelle mani di chi si occuperà di reprimerlo? A quante e quali situazioni potrà essere applicato? A cosa punta l’enormità della pena prevista, da tre a sei anni? Appare giustificato il timore che questo nuovo reato, al di là degli intenti dichiarati, possa nei fatti realizzare una stretta sulle possibilità di libera organizzazione di cittadini e cittadine, anche rispetto a forme di protesta e organizzazione che pure finora nessuno si è mai sognato, nella nostra Repubblica, di portare a simili estremi di pena. Venendo poi all’ergastolo ostativo. Come noto, la Corte costituzionale prevede all’articolo 27 che: “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. In questo senso, la Corte costituzionale ha già rilevato come il cosiddetto “ergastolo ostativo” sia in contrasto con questo articolo e con il terzo della Carta, nonché con l’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell’Uomo. La Corte, in un’ottica di non invasione dello spazio del legislatore, ha lasciato al Parlamento un anno di tempo per esprimersi, prima di procedere autonomamente a rimuovere nei codici le cause di incostituzionalità, come già purtroppo altre volte avvenuto in passato di fronte all’inazione della politica. Oggi, dunque, il Governo ripropone in sostanza una legge che lo stesso partito adesso maggioranza si era rifiutato di votare nella passata legislatura. Lo stesso Ministro della Giustizia Nordio appare così venir meno a quanto pure recentemente dichiarato: “Io penso che l’ergastolo ostativo, il principio cioè che al reo non venga concessa la possibilità di alcun beneficio, sia un’eresia contraria alla Costituzione. (…) Il fine pena mai non è compatibile, al fondo, con il nostro Stato di diritto”. Così, mentre nelle carceri italiane assistiamo al più alto numero di suicidi tra uomini e donne spesso imprigionati in attesa di giudizio, mentre il personale carcerario affonda nella mancanza di mezzi, risorse e riconoscimento, mentre reati di dubbia utilità come quelli legati alla legislazione sulle droghe leggere o sull’immigrazione riempiono le nostre galere di poveri, più che di delinquenti, assistiamo alla corsa del Governo per aggirare l’azione della Corte costituzionale. Le prime mosse di questo Governo lasciano dunque sconcertati, sia nello specifico dei contenuti affrontati, sia nelle modalità scelte, quelle di una decretazione che dovrebbe avere il carattere della straordinarietà, della necessità e dell’urgenza, decisamente poco ravvisabile nelle disposizioni in discussione.
Per ben due anni la pandemia ci ha tolto la possibilità di celebrare la festa più bella tra quelle del nostro calendario civile, e questo avrebbe dovuto essere l’anno della rinascita. Purtroppo questo 25 aprile porta inevitabilmente su di sé l’ombra angosciosa della guerra, causata dall’aggressione della Russia a un paese sovrano.
La memoria della Liberazione si associa oggi all’impegno per la pace, e alla necessità di tornare alla politica come unica possibilità di risoluzione dei conflitti.
È questo il messaggio più attuale che ci hanno consegnato coloro che per vent’anni si opposero al fascismo, soffrendo il carcere e la clandestinità, e generando i presupposti per la lotta di liberazione; di quanti coltivarono il sogno di un’Europa democratica e unita pur nelle differenze; di quanti, mentre ancora si combatteva, iniziavano a gettare le basi della partecipazione politica per raggiungere dignità, giustizia sociale, uguaglianza, che sono il fondamento della nostra Costituzione.
Il loro messaggio, che individua proprio la necessità dell’azione politica per la composizione dei conflitti, può apparire astratto, o pavido, di fronte alla realtà delle città distrutte, alle vittime e alle brutalità della guerra. Ma il vero coraggio, forse, consiste per noi proprio nell’assumere questo mandato in tutta la sua possibile concretezza.
Così come avere chiare le cause che contribuiscono a determinare il precipitare degli eventi ci dà la possibilità non solo di prendere delle posizioni nel dibattito interno al nostro Paese, ma di proporre interventi concreti, che non possono non coinvolgere e chiamare alla loro responsabilità – morale prima ancora che politica – i governi nazionali e l’Europa. Invece in questo momento l’Unione europea abdica al suo ruolo, e le nazioni che la compongono corrono ciascuna al proprio riarmo.
Vorrei ricordare che la centralità del tema della pace non è emersa soltanto adesso, ma è il naturale sviluppo del movimento resistenziale, che negli anni Sessanta ritrova tra l’altro la connessione con il mondo cattolico e con la disobbedienza di don Milani e di Aldo Capitini, in contrasto con la corsa al riarmo e praticando scelte di campo riconducibili all’intesa con le forze morali più avanzate del Paese.
In seguito al Regio Decreto n. 1227 del 28 agosto 1931, i 1.251 docenti universitari allora in servizio avrebbero dovuto giurare fedeltà non solo “alla patria”, secondo quanto già imposto dal regolamento generale universitario del 1924, ma anche al “regime fascista”. Meno di 20 rifiutarono perdendo così il lavoro. Uno di loro, Piero Martinetti, docente di filosofia all’Università degli Studi di Milano si rifiutò di prestare giuramento. L’Anpi Provinciale di Milano e l’Università Statale di Milano lo hanno ricordato il 24 novembre 2021 con una targa commemorativa.