







25 aprile 2023
Dunque oggi, un nuovo 25 aprile, da festeggiare a distanza di 78 anni da quel 25 aprile 1945.
Uno dei più autorevoli componenti del Comitato di Liberazione Nazionale, Ferruccio Parri, scrisse: “Rifiutiamo per noi le penne del pavone. Sono gli Alleati che hanno sconfitto il nazismo e la sua triste appendice fascista. Dietro di essi abbiamo vinto anche noi. Non è stato un miracolo, ma è stato il riscatto di fronte al mondo ed all’avvenire dell’onore nazionale; e questo riscatto, pagato col dono così grave del sangue più generoso, resta una cosa grande nella storia di un Paese che pareva civilmente e moralmente paralizzato dall’inquinamento fascista”.
Con buona pace di Ferruccio Parri, delle partigiane e dei partigiani, dobbiamo riconoscere che non sono bastati 78 anni a debellare in ogni sua forma questo inquinamento, come si dimostra ogni giorno anche da parte di chi ha giurato di adempiere le proprie funzioni con disciplina e onore, secondo l’indicazione dell’Art. 54 della Costituzione (Tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la Costituzione e le leggi. I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore, prestando giuramento nei casi stabiliti dalla legge).
Perché ancora ci si ostina a negare il carattere antifascista della Costituzione? Che cosa non risulta chiaro, oltre alla XII disposizione, quella che vieta la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista?
Come non riconoscere il carattere antifascista dell’Articolo 1 (L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione)?
Come non riconoscerlo nell’articolo 10, che recita: ‘Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge’?
E nell’articolo 9, che recentemente aggiunge alla promozione dello sviluppo della cultura e della ricerca scientifica, alla tutela dell’ambiente e del patrimonio storico artistico, “la tutela della biodiversità e degli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni”, e sposta così la centralità del tema dal diritto allo sfruttamento delle risorse, che ha come fulcro unicamente l’uomo, alla natura primaria della tutela dell’ambiente.
E nell’articolo 11: L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.
Che ne vogliamo fare di questo articolo 11, totalmente disatteso, visto che da oltre un anno il nostro Paese alimenta una guerra in totale obbedienza a un’organizzazione internazionale, la Nato, che con sempre maggior evidenza non si dimostra interessata ad assicurare pace e giustizia?
Cosa vogliamo fare dell’Articolo 3, quello che attribuisce alla Repubblica il compito di garantire l’uguaglianza dei suoi cittadini?
Non sono antifascismo il ripudio della guerra, i principi di uguaglianza, di solidarietà, di pari dignità, la libertà di espressione, la libertà di manifestare, di scioperare, il pluralismo politico?
Nella seduta dell’Assemblea Costituente del 17 marzo 1947 Aldo Moro risponde in questo modo a chi avrebbe voluto una Costituzione a-fascista, e non anti-fascista:
“Mi sembra che questo elementare substrato ideologico nel quale tutti quanti noi uomini della democrazia possiamo convenire, si ricolleghi appunto alla nostra comune opposizione di fronte a quella che fu la lunga oppressione fascista dei valori della personalità umana e della solidarietà sociale. Non possiamo in questo senso fare una Costituzione a-fascista, cioè non possiamo prescindere da quello che è stato nel nostro Paese un movimento storico di importanza grandissima, il quale nella sua negatività ha travolto per anni le coscienze e le istituzioni. Non possiamo dimenticare quello che è stato, perché questa Costituzione oggi emerge da quella resistenza, da quella lotta, da quella negazione, per le quali ci siamo trovati insieme sul fronte della resistenza e della guerra rivoluzionaria ed ora ci troviamo insieme per questo impegno di affermazione dei valori supremi della dignità umana e della vita sociale.
Guai a noi – continua Moro – se per una malintesa preoccupazione di serbare pura la nostra Costituzione da una infiltrazione di motivi partigiani, dimenticassimo questa sostanza comune che ci unisce, e la necessità di un raccordo alla situazione storica nella quale questa Costituzione italiana si pone. La Costituzione nasce in un momento di agitazioni e di emozione. Quando vi sono scontri di interessi e di intuizioni, nei momenti duri e tragici, nascono le Costituzioni, e portano di questa lotta dalla quale emergono il segno caratteristico. Non possiamo, se non vogliamo fare della Costituzione uno strumento inefficiente, prescindere da questa comune, costante rivendicazione di libertà e di giustizia. Sono queste le cose che devono essere a base della nostra Costituzione. Questa non è ideologia di parte, è una felice convergenza di posizioni”.
La Costituzione, dunque, non nasce a-fascista, ma anti-fascista, come provano i documenti, peraltro accessibili a chiunque. Ma lo spirito resistente e rivoluzionario che l’Assemblea costituente volle garantire alla Carta necessita – se non vogliamo fare della Costituzione uno strumento inefficiente – di una comunità in grado di mantenerne il senso. Necessita che non si prescinda dalla costante rivendicazione di libertà e di giustizia, e da un’idea di Stato fondato sulla fondamentale formula di convivenza che si chiama, appunto, antifascismo.
Non è certamente da oggi che un nucleo consistente di quel pensiero reazionario ha lavorato per sovvertire e confondere il carattere di rivoluzione democratica della Resistenza e della Costituzione. La ‘normalizzazione’ che pretende di appiattirne il significato iniziò da subito, ed è qualcosa con cui ancora oggi ci troviamo a fare i conti. Passa attraverso il linguaggio, che destituisce di significato i concetti di uguaglianza, di pieno sviluppo della persona umana, di dovere che il cittadino ha, insieme al diritto al lavoro, di svolgere un’attività che concorra al progresso materiale o spirituale della società; passa attraverso una informazione che talvolta informa poco e pretende piuttosto di orientare l’opinione (l’Italia è al 58° posto quanto a libertà di stampa); passa dagli annullamenti cui troppo spesso i partiti si prestano, favorendo il processo di crescente degrado della partecipazione democratica, e azzerando di fatto il primo principio, secondo il quale la sovranità appartiene al popolo.
Ancora Aldo Moro richiamava tre pilastri su cui si sarebbe dovuto fondare il nuovo Stato italiano, ovvero “la democrazia in senso politico, in senso sociale ed in senso che potremmo chiamare largamente umano”.
Quanto di questi tre pilastri oggi risulta in pericolo? Oggi che una legge elettorale bugiarda attribuisce la maggioranza dei seggi a quella che in situazioni normali sarebbe minoranza nel Paese? Senza che nessun partito politico abbia provato seriamente a costruire contromisure in grado di arginare la truffa e la conseguente delegittimazione della partecipazione democratica e della rappresentanza? E con il rischio concreto che i meccanismi in atto possano determinare che una minoranza-di-fatto abbia il potere di cambiare la Costituzione?
Oggi vediamo il pugno dello Stato che si abbatte con forza sulle forme di contestazione non convenzionali, quali quelle dei giovani di Ultima generazione che denunciano con forme non violente la catastrofe climatica.
Assistiamo al ricorso a misure eccezionali che, quanto alla ‘protezione speciale’ per i migranti, hanno rischiato l’incostituzionalità per aver cercato di eliminare il riferimento ai trattati internazionali in materia.
Ci troviamo sgomenti davanti al vuoto di tutela per i bambini figli di coppie omosessuali, privati dei loro diritti basilari, mentre il dibattito pubblico è invece spostato sulla gestazione per altri, materia complessa sulla quale servono semmai regole, prima che proibizioni.
In nome dell’autonomia differenziata accadrà, se non la fermeremo, la frantumazione del sistema sanitario, di quello scolastico e dei diritti sociali, con il conseguente aumento delle disuguaglianze.
Nel frattempo non c’è stato nessuno scioglimento delle organizzazioni neofasciste né la chiusura delle loro sedi.
Delle due l’una: o abbiamo il coraggio di rinunciare al carattere antifascista della Costituzione repubblicana, o troviamo la forza di pretendere che la Costituzione sia finalmente applicata in ogni sua parte.
E lo sia a partire dal lessico: la Costituzione parla di Patria, e non di Nazione. Patriottismo e nazionalismo non sono sinonimi. Il patriottismo combatte la tirannide, il dispotismo, l’oppressione; il nazionalismo combatte la contaminazione, l’eterogeneità e l’impurità culturale, etnica, religiosa, e soffoca il conflitto politico e sociale.
Patria, per noi, è dove si condividono valori, desideri, ideali. Patria è la lotta delle compagne iraniane.
Il nostro compito, il 25 aprile e tutti i giorni, è tornare a impadronirci dello spirito rivoluzionario – ma unitario – della Costituzione, senza agitarla come un feticcio mandato a memoria, ma usandola come il manuale d’uso della convivenza dei cittadini di questo paese, da qualunque parte essi provengano.